Datum
07.05.2020
Cara Roberta.
Ein Briefwechsel zwischen Unbekannten. Roberta Dapunt und Christoph Linher. April bis Mai 2020
Kategorie
Projekt
Schlagworte
Christoph Linher und Roberta Dapunt

7. Mai 2020

Caro Christoph.

Scrissi nella prima lettera che la sensazione era quella di una nostra responsabilità di interpretazione di questo momento così particolare. Ora, arrivata all’ultima, mi manca la sensazione di certezza verso qualsiasi interpretazione possibile. Dare un senso, attribuire un significato a ciò che si manifesta, la società deve dare un contenuto espressivo a questa crisi.
E vedi: tutto viene detto e da tutti in tutte le maniere possibili. Sono stati ricordati altri tempi e altri fatti accaduti, si è dato inizio a una narrazione nuova, o vecchia insomma, ma ripetuta e confermata. Rafforzata e quindi nuova, o almeno, nell’interpretazione di ora è diventata un inizio con riferimento al futuro e sarà qualcosa di diverso rispetto al passato. Certamente si distinguerà nell’essenza e nelle caratteristiche, nelle manifestazioni e negli affetti per ciò che c’era o che si aveva prima. Tanto insomma! Tanto è stato detto, tanto si dice ora, e tanto si dirà dopo e più avanti ancora, saremo instancabili.
“Niente sarà più come prima”. È questa una frase incisiva che si è sentita dire alla radio, alla televisione, l’abbiamo obbligatamente letta nei vari media, nei giornali. Ecco, qui, nel profondo rispetto delle molte morti avvenute, io sono in dubbio. Non sulla considerazione stessa dal tono apocalittico, alla quale io non credo, ma sull’onestà e sulla dignità della società che afferma questo. È cambiato qualcosa, sì, probabilmente sarà cambiato molto. Ma è difficile cambiare noi, noi ci conosciamo e sappiamo che tra le tante qualità abbiamo anche quella poco bella di dimenticare in fretta. Le cose poi, spesso si presentano diversamente e vanno in tutt’altra direzione da come si pensa qui e ora. 

Non è forse ugualmente utile esercitare l’occhio placido e fermo su ciò che apparentemente non è essenziale?

Credo di poter dare a questa tua domanda una prova di risposta, della quale al contrario del resto, poco dubito. Sono certa che la società, intesa come “ognuno di noi”, ha avuto in questo tempo fermo un’opportunità. L’impossibilità di altro, così radicale, ci ha dato la possibilità di percepire il silenzio nella sua profonda consapevolezza. 
È stato un volume continuo e incessabile nell’intensità. Abbiamo sentito fuori da noi la duratura perpetua, il continuo, ciò che esiste senza interruzione.
Lo hanno sentito i veneziani, i fiorentini. I milanesi e Bergamo. Lo abbiamo sentito qui a Badia, dentro ai boschi e nelle stalle. Non so in mare, lo chiederemo ai migranti.
Ora sappiamo cosa può essere lo sguardo sul silenzio, l’orizzonte di un vedere ciò che non avevamo visto prima. Ma soprattutto sappiamo che il silenzio per un tempo lungo settimane, è uscito allo scoperto, poiché lo abbiamo denudato, spogliato delle nostre vesti rumorose e sbrigative, e pertanto abbiamo permesso all’ascolto di ascoltare. Al silenzio di poter essere ascoltato. Ed è stato unico e senza uguali, un silenzio esente dal suo plurale. Nei miei versi ho scritto spesso del silenzio e ogni volta nella sua molteplicità, raccontandolo con riferimento a quello che sta dentro di noi. Nella mente, dentro casa, fuori, dall’alto delle montagne, in una stretta di mano durante il giorno. E nella notte che è madre dell’udire, un fine attrezzo che ascolta il respiro strofinare il silenzio, ma non lo accorda.

Da qui in poi so che la qualità di essere singolare appartiene al silenzio stesso, a lui solamente. Un componimento solo, per uno strumento solo. Un unico accordo, così completo da essere assoluto.
Come raccontare questo? Come rappresentare con parole questo silenzio? Con quale descrizione? Tutto abbiamo detto, poiché noi siamo persone senza silenzio e ciò che non poteva essere pronunciato, era annunciato dalle campane che suonavano a morto. Ed è stato drammatico, ed è stato triste. Ma è vero anche che è stato bello, e senza confronto.
Non credo di essere in errore se dico che questo tempo ci ha consegnato la lieve percezione di un’esperienza mistica, lontana sì da estasi o altro, ma relativa a un’intima unione con la realtà del silenzio superiore che non ha principio né fine. Ci siamo trasformati nel silenzio e identificati con il silenzio, assaporando una forma di rapporto conoscitivo con esso. È durato molto, ma è durato anche molto poco. 

Non s’improvvisa il silenzio, si va alla ricerca,
cercare con impegno, penetrare il silenzio 
e destinarlo a un solo strumento,
così da mettere alla prova la capacità
e le sonorità dello strumento stesso.

Permettimi Christoph, di dedicare questo nostro epistolario ai medici morti in Italia nel corso dell’epidemia. È un triste elenco e supera di molto il numero cento. Si aggiungono al numero di chi hanno guarito e a quello di chi non sono riusciti a salvare. Roberta 

Lieber Christoph.

In meinem ersten Brief schrieb ich von dem Gefühl unserer Verantwortung, diesen besonderen Augenblick zu interpretieren. Nun bin ich beim letzten angelangt und merke, dass mir, egal für welche mögliche Interpretation, jegliches Gefühl von Gewissheit fehlt. Sinn verleihen, den Geschehnissen eine Bedeutung zumessen, die Gesellschaft muss dieser Krise eindrücklich Ausdruck verleihen. Und schau: alles wird gesagt, von allen, auf jede erdenkliche Art und Weise. Es wurden andere Zeiten und andere Ereignisse in Erinnerung gerufen, man hat eine neue, eigentlich alte Erzählung begonnen, sie neu aufgerollt und sie bestätigt. Gestärkt und deshalb neu oder zumindest aus heutiger Sicht neu betrachtet, wurde sie zu etwas Neuem mit Ausblick auf die Zukunft, zu etwas anderem als das Vergangene. Ganz sicher wird sich diese Erzählung in ihrem Wesen und in ihren Eigenschaften, ihren Ausdrucksweisen und Gefühlen unterscheiden, von dem was war und was man vorher hatte. Insgesamt sehr viel! Vieles ist gesagt worden, vieles wird gerade gesagt und vieleswird danach und später noch gesagt werden, wir werden unermüdlich sein.
Nichts wird mehr sein wie es war“. Diesen eindringlichen Satz hat man im Radio, im Fernsehen oft vernommen, man hat ihn gelesen in den verschiedenen Medien und Zeitungen, gezwungenermaßen. Allerdings und bei allem Respekt vor den vielen Todesfällen, bin ich da im Zweifel. Nicht wegen der apokalyptisch klingenden Aussage als solcher, die ich nicht teile, vielmehr hege ich Zweifel an der Ehrlichkeit und Würde der Gesellschaft, die so etwas sagt. Etwas hat sich verändert, sehr wahrscheinlich hat sich sogar vieles verändert. Doch uns zu verändern ist schwierig, wir kennen uns und wissen, dass wir unter unseren vielen guten Eigenschaften auch eine nicht so schöne haben, und zwar, schnell zu vergessen. Die Dinge zeigen sich letztendlich oft anders und entwickeln sich in eine ganz andere Richtung, als man hier und jetzt denkt. 

Ist es für die Begegnung mit der gegenwärtigen Zeit(enwende) nicht auch vorteilhaft, das ruhige und ruhende Auge auf dem scheinbar Unwesentlichen zu schulen?

Auf diese deine Frage glaube ich, eine Antwort versuchen zu können und daran, im Gegensatz zu allem anderen, kaum zu zweifeln. Ich bin mir sicher, dass diese stillstehende Zeit für die Gesellschaft, verstanden als „jeder von uns“, eine Gelegenheit darstellte. So tiefgreifend wir die Unmöglichkeit von anderem auch erlebten, es gab uns die Möglichkeit, die Stille im ganzen Ausmaß ihres Bewusstseins wahrzunehmen.
Es hatte die Intensität eines andauernden, unaufhörlichen Volumens. Außerhalb von uns hörten wir die anhaltende Dauer, das Kontinuum, etwas, das unendwegt da ist. Zu hören war es für die Venezianer, die Florentiner. Für die Mailänder, und Bergamo. Wir hörten es hier in Abtei, in den Wäldern, in den Ställen. Ob auf See, weiß ich nicht, wir werden die Flüchtlinge fragen.
Nun wissen wir, was der Blick auf die Stille sein kann, der Horizont eines Erkennens dessen, was wir vorher nicht gesehen hatten. Vor allem aber wissen wir, dass die Stille für eine lange Dauer von Wochen aus dem Verborgenen trat. Weil wir sie entblößten, sie unserer lärmigen und geschäftigen Hüllen entkleideten und dem Zuhören erlaubten zuzuhören. Der Stille erlaubten, gehört zu werden. Einzigartig und ohnegleichen, eine Stille bar ihrer Mehrzahl. Oft schon schrieb ich in meinen Gedichten über die Stille, immer dabei über ihr Vielfaches, indem ich Bezug nahm, was in unserem Inneren ist. Im eigenen Kopf, innerhalb des Hauses, draußen, von der Höhe der Berge aus, in einem Händedruck während des Tages. In der Nacht, die die Mutter des Hörens ist, ein feines Werkzeug, das dem Atem lauscht, wie er die Stille streicht, sie aber nicht stimmt. 

Von jetzt an weiß ich, dass die Einzigartigkeit als Eigenschaft der Stille selbst angehört, ihr allein. Eine einzige Komposition, für nur ein Instrument. Nur ein Akkord, absolut in seiner Vollständigkeit.
Wie das erzählen? Wie diese Stille mit Worten abbilden? Mit welcher Beschreibung? Alles haben wir gesagt, weil wir Menschen ohne Stille sind und was nicht ausgedrückt werden konnte, wurde angekündigt mit dem Läuten der Totenglocken. Es war dramatisch, und traurig und wahr ist auch, dass es schön war, schön und ohne Vergleich. 
Ich glaube nicht zu irren, wenn ich sage, dass uns diese Zeit die sachte Ahnung einer mystischen Erfahrung beschert hat, fernab von Ekstase oder Ähnlichem, durchaus, aber bezugnehmend auf eine innige Verbundenheit mit dem Dasein einer höheren Stille, die weder Anfang noch Ende hat. Wir haben uns in der Stille verändert, haben uns mit der Stille identifiziert, indem wir eine Art kognitiver Beziehung mit ihr eingegangen sind. Lang hat es gedauert, aber es hat auch kurz gedauert. 

Stille kann nicht improvisiert, sie muss erkundet werden, 
mit Hingabe suchen, die Stille durchdringen 
und sie einem einzigen Instrument zuweisen,
um es als solches auf den Prüfstein zu legen,
sein Können und seinen Klangraum.

Erlaube mir, Christoph, diesen unseren Briefwechsel den Ärzten zu widmen, die in Italien im Zuge der Epidemie gestorben sind. Es ist eine traurige Liste, die die Zahl Hundert bei Weitem übersteigt. Zuzüglich der Zahl jener, die sie geheilt haben und jener, die sie nicht haben retten können. Roberta 

Übersetzt von Alma Vallazza

4. Mai 2020

Liebe Roberta!

Zunächst einmal bin ich natürlich ganz bei dir: Spekulationen sind das, was sie sind, nämlich nichts als Mutmaßungen, Gedankenspielereien mit unabsehbaren Folgen. Vielmehr ging es mir darum, dass ich bei uns einen offenen Diskurs vermisse, auch einen Dissens, eine Meinungspluralität, hier, in diesem nicht zuletzt durch Einwanderung und ethnische Diversität geprägten und folglich an Kultur- und Denkweisen eigentlich so vielfältigen Land. Alle haben – was anfangs sicher ein Gebot der Stunde war – sprichwörtlich an einem Strang gezogen. Und zugegeben: Der politische Konsens über Parteigrenzen hinweg war für den Moment sogar eine gewisse Wohltat, eine Politik, augenscheinlich bar jeder Verdunkelungstaktik und fernab jenes noch fast jede Aussage verweigernden Enthaltungsmusters, das mir immer mehr als das Hauptparadigma in unserer politischen Landschaft erscheint.
Aber Umsicht bedeutet nicht nur, vernünftige Entscheidungen zu treffen (und sie mussten rasch getroffen werden), sondern sie auch mit derselben Vernunft zu kommunizieren. Vielleicht hätte in dieser Hinsicht die öffentliche Verlautbarung durch unabhängige Experten und Expertinnen dem Eindruck vorgebeugt, es handle sich ein wenig um eine Inszenierung, um ein effektvolles Stagediving im potenziellen Wählerauditorium. Der gegenwärtige Seniorpartner der Regierung kratzt immerhin laut aktuellen Meinungsumfragen an der Absoluten, eine Partei, pardon, Bewegung, die – wie gesehen – keine Skrupel hat, zum Machtgewinn eine Koalition mit den Rechtsrechten einzugehen. Ähnlich exponentiell, wie die Infiziertenzahlen anfänglich gestiegen sind, nahmen auch die Maßnahmen zu, und dies kommunikativ in einer, wie ich finde, immer weniger temperierten, nur bedingt kalmierenden Art und Weise. Angst als Motor. Und die Wesensverwandtschaft zum Schrecken, also Terror, ist eine ersten Grades. Dramatik und Fatalismus haben sich mit jedem Mal verstärkt. Dass diese Vorgehensweise Spekulationen befeuert, finde ich nur mäßig überraschend. 
Und ja, es ist ein Privileg, diese Dinge aussprechen zu dürfen, obwohl: Die Zeiten können sich schnell ändern. Presse- und Meinungsfreiheit kann auch einfach dahingehend ausgelegt werden, dass – so wie es beispielsweise unser ehemaliger Innenminister empfohlen hat – kritische Medien möglichst frei von einer Meinung bleiben sollen, indem sie einfach nur noch über das Nötigste vonseiten der Polizei informiert werden, von den direkten und nicht gerade wenigen Anfeindungen bestimmter namhafter Journalisten ganz zu schweigen. Da nimmt es auch nicht Wunder, dass Österreich im Pressefreiheitsranking von Reporter ohne Grenzen weiter Plätze eingebüßt hat.

Aber was soll man in diesem Zusammenhang bloß zu Ungarn sagen? Eigentlich verschlägt es einem ja die Sprache. Und erst zur Europäischen Union. Euphemistisch gesprochen führt sie sich selbst ad absurdum. Weniger beschönigend ausgedrückt hat sie vielleicht ihr letztes Quäntchen Glaubwürdigkeit eingebüßt. Denn nach wie vor ist die EU in ihrer Grundintention ein Friedensprojekt, wenn auch – führt man sich die Urinstitution der EGKS vor Augen – eines, das auf ökonomischen Ideen fußt. Aber Friede existiert nur, wo es Freiheit gibt. Alles andere ist ein diktierter Scheinfrieden. Das – wenn auch unter Vorbehalt – große Schweigen der Europäischen Union macht sprachlos. Der Eindruck, dass sie die Ouvertüre zum eigenen Abschiedsoratorium angestimmt hat, ist ein tiefgreifender. 

Überall grünt und sprießt und farnt es. Beinahe getraut man sich schon nicht mehr, die Natur schreibend zu betrachten, mit ihr auf diese Weise in Kontakt zu treten, ohne Gefahr zu laufen, als Adept eines verklärenden Romantizismus gestempelt zu werden. Etwas zu sagen von Relevanz, darum muss es gehen, darum muss sich ja alles drehen. Und doch: Ist es für die Begegnung mit der gegenwärtigen Zeit(enwende) nicht auch vorteilhaft, das ruhige und ruhende Auge auf dem scheinbar Unwesentlichen zu schulen? – Das gravitätische Wiegen der Baumkronen im Wind. Der Fluss mit seinem Schwemmholz uferlang. Das Sekundenticken der Uhr, das unaufgeregte Sekundenkreisen auf dem Ziffernblatt einer Bahnhofsuhr. 

Es grüßt dich herzlich,

Christoph

Cara Roberta!

Naturalmente concordo in primo luogo con te: le congetture sono quelle che sono, cioè nient’altro che supposizioni, trastulli intellettuali con conseguenze imprevedibili. Volevo piuttosto sottolineare la mancanza, qui da noi, di un discorso aperto, anche di un dissenso, di una pluralità di opinioni; proprio qui, in questo paese caratterizzato in particolar modo anche da immigrazione e diversità etniche e perciò in verità così vario per quanto riguarda le mentalità culturali e di pensare. Tutti si sono impegnati insieme – il che all’inizio era sicuramente l’imperativo del momento – per il medesimo obiettivo. E bisogna ammettere: il consenso politico al di là dei confini di partito, per il momento è stato percepito addirittura come qualcosa di benefico, una politica evidentemente priva di qualsiasi tattica di dissimulazione e lungi da quel modello di astensione restio a quasi ogni dichiarazione, che sempre più mi sembra essere il paradigma assoluto nel nostro paesaggio politico.
Prudenza però non significa solo prendere decisioni ragionevoli (e dovevano essere prese in fretta), ma anche comunicarle con altrettanta ragionevolezza. In questo senso forse la dichiarazione pubblica tramite esperti ed esperte indipendenti avrebbe potuto evitare l’impressione che si trattasse un po’ di una messinscena, di uno stage diving di grande effetto nel potenziale auditorio di elettori. Infatti, l’attuale partner di maggioranza del governo, secondo recenti sondaggi d’opinione, sta per raccattare la maggioranza assoluta, un partito, chiedo scusa, movimento, che – come si è visto – pur di rafforzare il potere non ha scrupoli di formare una coalizione con l’estrema destra. In maniera similmente esponenziale, alla pari dell’iniziale crescita del numero degli infetti, sono aumentati anche i provvedimenti, e questo, per quanto riguarda la comunicazione, in un modo a mio avviso sempre meno temperato, solo relativamente calmante. La paura come motore. E la comunanza con l’inquietudine, cioè il terrore, è di primo grado. Drammaticità e fatalismo si sono rafforzati di volta in volta. Che questo modo di procedere stia alimentando le congetture, è per me una sorpresa solo fino a un certo punto.

Certo, è un privilegio poter dire queste cose, anche se i tempi possono cambiare rapidamente. Libertà di stampa e d’opinione possono essere interpretate senz’altro anche nel senso – come ad esempio suggerito dal nostro ex ministro degli interni – che i media critici dovrebbero rimanere possibilmente liberi da opinioni, forniti semplicemente soltanto delle informazioni assolutamente necessarie da parte della polizia, per non parlare delle ostilità dirette, e sicuramente non poche, nei confronti di certi giornalisti rinomati. Così non c’è neanche da meravigliarsi che nella classifica sulla libertà di stampa stilata da Reporter senza frontiere l’Austria abbia perso altre posizioni.

E cosa dire, in questo contesto, a proposito dell’Ungheria? Veramente si rimane senza parole. E poi riguardo all’Unione Europea. Parlando per eufemismi, sta dimostrando la propria assurdità. Detto in modo meno conveniente, ha forse perso il suo ultimo pizzico di credibilità. Perché l’UE, nella sua intenzione fondamentale, è pur sempre un progetto di pace, anche se – tenendo presente l’istituzione originaria della CECA – un progetto fondato su idee economiche. La pace però esiste solo laddove c’è libertà. Tutto il resto è una pace apparente, dettata. Il grande silenzio – sebbene con riserva – dell’Unione Europea è sconcertante. L’impressione che abbia intonato l’ouverture per il proprio oratorio d’addio, è profonda.

Dappertutto sta verdeggiando, germogliando, stanno spuntando le felci. Non si osa quasi più guardare la natura scrivendo, entrare in contatto con essa in questo modo, senza correre il rischio di essere bollati come adepti di un romanticismo volto alla trasfigurazione. Dire qualcosa di rilevante, di questo si tratta, su questo dovrebbe muoversi il tutto. Eppure: per affrontare l’attuale situazione, che poi è una svolta epocale, non è forse ugualmente utile esercitare l’occhio placido e fermo su ciò che apparentemente non è essenziale? – L’ondeggiare maestoso delle chiome degli alberi nel vento. Il fiume con il suo legname galleggiante lungo la riva. Il ticchettio dei secondi dell’orologio, l’avanzare imperturbato dei secondi sul quadrante di un orologio da stazione.

Ti saluto di cuore,

Christoph

Übersetzt von Werner Menapace

25. April 2020

Caro Christoph,

faccio fatica con le congetture. Supposizione e giudizi che poggiano sulle apparenze probabili. Certo, economia e politica non hanno fama di proprietà trasparente, ma è anche vero che l’occultamento e la segretezza sono meccanismi perversi dei totalitarismi. Lungi da noi questa sottrazione.
Eppure una sottrazione dei diritti è successa nelle ultime settimane anche in Europa, troppa concentrazione sull’epidemia ha fatto sì che accadesse senza grandi contrasti e resistenze. 
In un silenzio remissivo del tempo ora, l’Ungheria ha dato i pieni poteri al primo ministro, lo ha fatto senza limiti, ciò significa con rinnovo senza limite. Hanno sospeso la democrazia, una presa di posizione paradossale visto che il via libera è stato deciso dal Parlamento e appoggiato dal governo. L’Europa ha reagito poco, permettimi, non ha reagito proprio! Nessun provvedimento. Se non l’espressione di timore e di preoccupazione per il rischio di violazione dei principi dello stato di democrazia.
Ecco Christoph, io credo che questo dubbioso comportamento non dovrebbe lasciare spazio a nessun tipo di esitazione. Emergenza virus? Nessun motivo giustifica l’autocrazia. Una tale concentrazione di potere non ha precedenti nell’Unione Europea, è un avvenimento che intossica profondamente i suoi ideali. Tutti i paesi dell’Unione hanno dovuto adottare misure difficili che hanno limitato i diritti civili dei loro cittadini. Orban ha messo in una “quarantena a tempo indeterminato” l’intera nazione, limitando la libertà di espressione e la libertà di stampa. Dovremo pur chiederci in quanto cittadini europei, se considerare ciò che sta accadendo in uno degli stati membri, come un qualcosa lontano da noi o come una grave minaccia al bene comune.
Ma cos’è il bene comune? Quello che esprime stato, repubblica. Lo stare pubblico?
Lo stare pubblico Christoph, in questo nostro epistolario ad esempio, non è ovvietà. Voglio ricordare che un compagno di percorso ha deciso di sospendere i suoi interventi, perché la corrispondenza con un altro autore critico sul regime autoritario in Cina, avrebbe potuto compromettere una sua residenza proprio lì. Il timore ha zittito un confronto verbale che avrebbe attraversato percezioni e sentimenti. 

Non credo che in Italia sia stato impedito a qualcuno di esprimersi in riguardo a questa pandemia. Qui la consistenza numerica delle teorie è incalcolabile, le opinioni superano le teorie, solo le convinzioni si sono esaurite dopo una settimana dall’inizio. Ma c’è la libertà di espressione e finché ce l’abbiamo, direi che siamo salvi, nonostante il virus. Il diritto di esprimere la propria opinione e non essere impediti in questo, è un diritto riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani. Così è scritto, scritto su carta e c’è scritto: universale. In astronomia universo è l’insieme dei corpi celesti, i pianeti, le stelle e le galassie. Dentro ci stiamo anche noi esseri umani e quindi dire “universale” è dire cosa giusta. E però dentro a questo “tutto intero” ci cuciniamo un intruglio di valori e principi morali, la storia e le storie, i linguaggi e le aspirazioni di pace e controllo e la somma di certe virtù che nemmeno sappiamo più quali sono. Vivande insomma, che ormai poco profumano di buono.

Oggi è il 25 aprile, festa delle più belle, poiché ricorda la Liberazione d’Italia, scritta con la maiuscola e prima pietra nelle fondamenta di questa Repubblica. È alla resistenza di giovani coraggiosi che dobbiamo il riscatto della nostra libertà. Loro si sono dovuti inventare una strada che non c’era. La democrazia per costruirla, l’hanno prima dovuta sognare. Ci sono riusciti in mezzo a una situazione drammatica. Questo paese festeggia la Liberazione, lo fa con il sorriso sulle labbra, eppure continua a faticare, e ancora a faticare in una riflessione sul fascismo. Guardo i canali della televisione tedesca, lì al contrario ogni sera o quasi un documentario sul nazismo, continuamente, come a dire, non sarà mai abbastanza.
Prima di finire questa lettera, ho fatto una camminata nel bosco dietro casa. Ho cercato un fiore che potesse porci in più stretta relazione, non l’ho trovato. Ci sono le soldanelle, l’anemone fegatella, se non altro, la loro bellezza. C’è troppa neve ancora, e la primavera quest’anno è incerta nell’agire. Ti consegno dunque il mio sorriso, Roberta.

Lieber Christoph,

mit Spekulationen habe ich meine Schwierigkeiten. Annahmen und Beurteilungen auf der Grundlage von Wahrscheinlichkeit. Sicher, Wirtschaft und Politik stehen nicht gerade im Ruf, leicht durchschaubar zu sein, aber es stimmt auch, dass Verheimlichung und Geheimhaltung abnorme Mechanismen totalitärer Regimes sind. Bleibe uns diese Manipulation erspart. 
Allerdings, eine Manipulation von Rechten hat in den vergangenen Wochen auch in Europa stattgefunden. Zu viel Konzentration auf die Epidemie führte dazu, dass dies ohne große Proteste und Widerstände passieren konnte. 
Zum jetzigen Zeitpunkt devoten Schweigens erteilte Ungarn dem Ministerpräsidenten unumschränkte Vollmacht, und zwar ohne Einschränkung, das heißt ohne zeitliche Beschränkung. Die Demokratie wurde ausgesetzt, eine paradoxe Entscheidung, wenn man bedenkt, dass diese vom Parlament beschlossen und von der Regierung unterstützt wurde. Europa reagierte kaum darauf, mit Verlaub, es reagierte überhaupt nicht darauf! Keinerlei Maßnahmen. Man äußerte sich höchstens besorgt und alarmiert zur Gefahr der Verletzung der Grundsätze des Zustands der Demokratie. 
Nun, Christoph, ich glaube, dass ein solch zweifelhaftes Verhalten null Spielraum egal für welche Art von Zögern lassen sollte. Eine Virus-Notfallmaßnahme? Kein Grund rechtfertigt Autokratie. Eine solche Machtkonzentration ist in der Europäischen Union beispiellos, es ist ein Ereignis, das ihre Grundwerte zutiefst vergiftet. Alle Länder der Union haben schwierige Maßnahmen ergreifen müssen, die die Bürgerrechte ihrer Bürger einschränkten. Orban hat der gesamten Nation eine „unbefristete Quarantäne“ verordnet und damit die Meinungs- und Pressefreiheit beschnitten. Wir werden uns als europäische Bürgerinnen und Bürger also schon fragen müssen, ob wir, was in einem der Mitgliedstaaten geschieht, als etwas weit Entferntes oder als eine ernsthafte Bedrohung für das Gemeinwohl betrachten wollen.
Aber was ist das Gemeinwohl? Ist es Ausdruck des Staates, der Republik, der Öffentlichkeit? Unser öffentliches Sprechen, Christoph, ist zum Beispiel in diesem unseren Briefwechsel nicht selbstverständlich. Ich möchte daran erinnern, dass ein Teilnehmer an diesem Projekt sich entschieden hat, seine Beiträge auszusetzen, weil die Korrespondenz mit einem anderen Autor, der dem autoritären Regime in China kritisch gegenübersteht, sein Aufenthaltsrecht dort hätte gefährden können. Die Angst brachte einen verbalen Austausch zum Schweigen, der Wahrnehmungen und Empfindungen entfaltet hätte.

Ich glaube nicht, dass in Italien irgendjemand daran gehindert wurde, sich zu dieser Pandemie zu äußern. Hier ist die zahlenmäßige Dichte der Theorien unüberschaubar geworden, Meinungen gibt es noch mehr als Theorien, lediglich Überzeugungen hatten sich bereits nach der ersten Woche erschöpft. Aber es gibt die Meinungsfreiheit, und solange wir sie haben, sind wir auf der sicheren Seite, würde ich sagen, Virus hin oder her. Das Recht, seine Meinung frei zu äußern und nicht daran gehindert zu werden, ist ein Recht, das in der Allgemeinen Erklärung der Menschenrechte anerkannt wird. So steht es geschrieben, schwarz auf weiß, und geschrieben steht: universell. In der Astronomie ist das Universum die Gesamtheit der Himmelskörper, Planeten, Sterne und Galaxien. Wir Menschen gehören dazu, insofern ist „universell“ auch die richtige Bezeichnung. Und mitten in diesem „alles Umfassenden“ mischen wir uns ein Gebräu aus Werten und moralischen Prinzipien, aus Geschichte und Geschichten, Sprechweisen und Bestrebungen nach Frieden und Kontrolle und der Summe aus bestimmten Tugenden, von denen wir nicht einmal mehr wissen, welche es sind. Zutaten kurzum, die inzwischen ziemlich verdorben riechen.

Heute ist der 25. April, einer der schönsten Feiertage, weil er an die Befreiung Italiens erinnert, dem ersten und maßgeblichen Grundstein dieser Republik. Die Wiedererlangung unserer Freiheit verdanken wir dem Widerstand mutiger junger Menschen. Sie mussten sich einen Weg erfinden, den es vorher nicht gab. Um die Demokratie zu errichten, mussten sie sie zuerst erträumen. Es ist ihnen gelungen, obwohl die Umstände dramatisch waren. Dieses Land feiert die Befreiung, mit einem Lächeln auf den Lippen, obwohl es sich immer noch und immer wieder schwer tut mit der Aufarbeitung der eigenen faschistischen Vergangenheit.

Ich schaue deutsche Fernsehsender, fast jeden Abend werden hier hingegen Dokumentationen zum Nationalsozialismus gezeigt, ständig, als wollte man zeigen, dass davon nie genug sei. Bevor ich diesen Brief beendete, machte ich einen Spaziergang in den Wald hinter dem Haus. Ich suchte nach einer Blume, die uns näherbringen könnte, aber ich konnte keine finden. Es gibt die kleinen Soldanellen, das Leberblümchen, ja, ihre Schönheit, zumindest. Es liegt noch zu viel Schnee und der Frühling verhält sich zögerlich in diesem Jahr. So überlasse ich dir für diesmal mein Lächeln, Roberta.

Übersetzt von Alma Vallazza

24. April 2020

Liebe Roberta.

Ja, der Löwenzahn blüht. Dieses von noch fast jedem Pfingstrosenzüchter und anderen Heimgärtnern ungeliebte Beikraut, das seine Wurzeln erstaunlich tief ins Erdreich schlägt. Ähnlich wie die Angst, die in unser Bewusstseinssubstrat gestreut wurde und schon jetzt nicht weniger erstaunlich stark verwurzelt zu sein scheint wie der Löwenzahn…  Vieles bleibt Spekulation, zu so manchem sehe ich mich, trotz oder gerade wegen der von dir anfänglich eingemahnten Verantwortung, die uns als Schreibenden zukommt, nicht befähigt, eindeutig Stellung zu beziehen. Die Sachlage scheint mir zu komplex. Es kann also beispielsweise hier nur erwähnt werden, muss aber von mir mehr oder weniger umkommentiert bleiben, dass laut Erhebungen des Robert-Koch-Instituts, der ETH Zürich und auch der Ages der Reproduktionsfaktor in den jeweiligen Ländern bereits vor dem Lockdown teilweise deutlich unter den wichtigen Wert von R0=1 gesunken ist. Aufhorchen lässt auch eine Studie der Fachzeitschrift „Clinical Infectious Diseases“, wonach ein infiziertes Kind in Frankreich trotz Kontakten mit mehr als 170 weiteren Kindern kein einziges angesteckt hat, was auf eine untergeordnete Rolle Heranwachsender bei der Verbreitung des Virus schließen lassen könnte. Ich möchte mir nicht anmaßen, daraus irgendwelche (voreiligen) Schlüsse zu ziehen, allerdings werde ich den sich nach und nach verhärtenden Eindruck nicht los, dass vieles, was von der Politik als evidenzbasiert verkauft wird, eher einer trickreichen Jonglage mit Unbekannten und Dunkelziffern entspricht. Der Umstand, dass ein renommierter Gesundheitsexperte aus der hiesigen Covid-19-Taskforce ausgeschieden ist, weil er laut dem „Standard“ zum Dorn in dem vom Kanzler angestrebten konsensualen Wissenschaftsauge wurde und vor allem auch auf völlige Transparenz gegenüber der Bevölkerung pochte, lässt zudem hell- und hellsthörig werden.  

Eine schon weniger subjektive Wahrnehmung (wie du bereits geschildert hast) ist die Angstrhetorik und -symbolik, die nicht nur von der Politik, sondern auch von vielen Medien betrieben wird und wurde. Zur Regel geworden waren scheinbar dem Gravitationsgesetz übermäßig gehorchende Gesichtszüge ostentativ besorgter Moderatoren in den öffentlich-rechtlichen Nachrichtensendungen und deren nachgerade defätistischen Ansagen, die immer mehr dem Regierungsprotokoll entliehen schienen. Experten gegenläufiger oder zumindest kritischer Ansichten kamen nicht zu Wort. Jedenfalls hat es sich vor einigen Wochen so verhalten, zwischenzeitlich habe ich aufgehört, diese Sendungen zu verfolgen. Nicht aufgehört hat dagegen die Pflanzung von Angstsetzlingen. Wenn auch verbal weniger martialisch als in Frankreich oder eben in Italien. Vonseiten der Politik war die Rede von Alternativlosigkeit, von der größten Krise seit dem Zweiten Weltkrieg oder davon, dass schon bald jeder einen Corona-Toten kennen werde – das In-Erwägung-Ziehen einer Aufweichung des „in Zeiten wie diesen“ gemeinwohlerodierenden Datenschutzes inklusive. Und diese Rhetorik hat, wie ich finde, ihre Entsprechung in der Tragepflicht eines Mund-Nasen-Schutzes gefunden – ein kontrovers diskutiertes Thema. Eindeutig dagegen sind die psychosozialen Dimensionen, die Funktion der Maske als eine Art portables Memento mori, eine unverhältnismäßige Permanent-Vergegenwärtigung der unsichtbaren Gefahr um uns. Zu Tode gefürchtet, ist auch gestorben, weiß der Volksmund. Angst und Panik, so das „Addendum“-Magazin, seien schlechte Ratgeber und hoch infektiös. So infektiös, dass man sogar Menschen allein in ihren Autos sitzend Schutzmasken tragen sieht. Als gälte es, sich vor sich selbst zu schützen.

Der Löwenzahn. Verpönt bei den Gartenkultivierern, geliebt von den Kindern. Jedenfalls der reife, die Pusteblume. Seifenblasen nennt sie mein Kind. Weil die Samen wie Blasen durch den Luftraum schweben. Das Kind pustet einmal. Der Wind ist günstig, die Samenschirmchen werden hoch in die Lüfte verteilt. Wer weiß, wo sie landen und Wurzeln schlagen werden…

Es grüßt aus V,

Christoph

Cara Roberta.

Già, fiorisce il tarassaco. Questa erbaccia, tuttora malvoluta da quasi tutti i coltivatori di peonie e altri giardinieri fai da te, che affonda le sue radici molto profondamente nel terreno. Simile alla paura che è stata seminata nel nostro substrato di coscienza e che già ora sembra essere radicata non meno profondamente del tarassaco… Molte cose rimangono congetture, su parecchie cose, nonostante o proprio per la responsabilità da te inizialmente sollecitata, che si addice a noi in quanto scriventi, non mi sento abilitato a prendere posizione in modo chiaro. La situazione mi sembra troppo complessa. Per esempio, posso qui solo citare, ma rimane per forza senza commento da parte mia, che in base a rilevazioni dell’istituto Robert Koch, dell’ETH (Politecnico Federale) di Zurigo e anche dell’AGES (Agenzia Austriaca per la Salute e la Sicurezza dell’Alimentazione), il fattore di riproduzione nei rispettivi paesi è sceso in modo parzialmente evidente sotto il valore significativo di R0=1 già prima del lockdown. Interessante anche uno studio pubblicato dalla rivista specializzata “Clinical Infectious Diseases”, secondo il quale in Francia un bambino infetto, nonostante abbia avuto contatto con oltre 170 altri bambini, non ha contagiato nessun altro, il che potrebbe far pensare a un ruolo secondario degli adolescenti nella diffusione del virus. Non vorrei azzardarmi a trarre delle conclusioni (affrettate) da questi dati, tuttavia, a poco a poco si sta rafforzando in me un’impressione, dalla quale non riesco a liberarmi, e cioè che molto di ciò che la politica ci sta vendendo come basato sull’evidenza corrisponda piuttosto a un ingegnoso gioco di destrezza con incognite e cifre non ufficiali. Inoltre, il fatto che un rinomato esperto sanitario sia uscito dalla locale task force Covid-19 perché, secondo il quotidiano “Standard”, era diventato la spina nell’occhio economico consensuale voluto dal cancelliere, e soprattutto anche perché insistette sulla trasparenza assoluta verso la popolazione, fa rizzare, e non poco, le orecchie.

Una percezione alquanto meno soggettiva (come tu hai già esposto) sono la retorica e il simbolismo della paura, praticati, oggi come in passato, non solo dalla politica, ma anche da molti media. Le fattezze eccessivamente sottomesse alla legge di gravitazione dei moderatori ostentatamente preoccupati nei notiziari delle emittenti pubbliche e i loro annunci perfino disfattisti che sempre più sembravano presi in prestito dal protocollo di governo, diventarono la regola. Esperti di opinione contraria o perlomeno critica sono stati messi a tacere. Così almeno era la situazione qualche settimana fa, nel frattempo ho smesso di seguire quelle trasmissioni. Invece non è cessata la coltivazione della paura. Anche se verbalmente con toni meno marziali di quelli usati in Francia o appunto in Italia. Da parte della politica si parlava di assenza di alternative, della crisi più grave dopo la Seconda guerra mondiale oppure del fatto che ben presto tutti avrebbero conosciuto una persona morta per Corona – incluso la presa in considerazione di un allentamento della protezione dei dati, diritto che “in tempi come questi” starebbe erodendo il bene comune. E questa retorica ha trovato, come credo, la sua corrispondenza nell’obbligo di portare una protezione bocca-naso – un tema discusso in modo controverso. Evidenti sono invece le dimensioni psicosociali, la funzione della mascherina come una sorta di memento mori portatile, uno sproporzionato, permanente richiamare alla mente il pericolo invisibile intorno a noi. Spaventato a morte, anche lui morto, dice la voce del popolo. Paura e panico, scrive la rivista “Addendum”, sono cattivi consiglieri e altamente contagiosi. Talmente contagiosi che si possono vedere addirittura persone sedute sole nelle loro macchine, che portano la mascherina. Come se fosse necessario proteggersi da se stessi.

Il tarassaco. Malvisto dai coltivatori di giardini, adorato dai bambini. Quello maturo almeno, il soffione. Bolle di sapone le chiama la mia piccola. Perché i semi ondeggiano come bolle nello spazio aereo. La piccola soffia una volta. Il vento è favorevole, i paracadutini vengono dispersi nell’aria. Chissà dove si poseranno e metteranno radici …

Dal V ti saluta,

Christoph

Übersetzt von Werner Menapace

19. April 2020

Christoph caro, la tua domanda.

Ognuno di noi dovrà chiedersi se davvero c’è ancora altro da difendere tranne la propria dignità.
Ti rispondo di sì e con certezza. Difendere la dignità dell’altro, del prossimo, perché la dignità propria sia degna della sua nobiltà morale! È la base costitutiva di una società democratica.

Il virus di questo se ne frega. Se c’è una cosa lampante in questa storia, è che il virus di qualsivoglia nome, non ha alcun riguardo per nessun riconoscimento, per nessun genere di frontiera. Colpisce tutti e senza distinzione di culture, religioni e politiche. 
Ha una preferenza per i vecchi invece. È morta una parte di loro, a volte dicono i medici, in un soffio. È stata portata via in migliaia di bare. Come quando a maturazione, si soffia il tarassaco e una moltitudine di semi si perde nell’aria.
I semi dispersi questa volta, sono la generazione che sa cos’è una guerra. Quella che non concorda con il linguaggio bellico che è insorto nelle settimane scorse. E ancora, qui in Italia si dice: guerra, i medici stanno al fronte, in trincea. È ricomparso il termine untore. Eppure questo nemico non ha volto. Se lo avesse sarebbe il sorriso delle mie figlie, quello di mia madre. Dire lotta è dire bene. E i medici stanno dentro a una moltitudine di corsie di emergenza, curano respiri drammatici, l’intensità emotiva nelle loro mani. Mentre l’antagonista potrebbe abitare il loro stesso corpo, anche il mio mentre scrivo.
Non guerra. Per converso invece, in questo attimo dell’evoluzione in pianto, ci stiamo restituendo un ordine di quiete che richiama i pesci e gli uccelli, pulisce le correnti e ci commuove per smarrimento e sconcerto. Sull’orologio geologico siamo pochi minuti, nella conta dei nostri secoli si racconterà questo istante di tempo.
Ebbene, in questo istante del tempo, a me impressiona l’ubbidienza. Mi provoca turbamento l’ubbidienza esercitata come un dovere di rispettosa sottomissione. È un terribile sapersi questo. Abbiamo ubbidito per timore, prima ancora delle disposizioni e dei regolamenti imposti. Da un giorno all’altro la paura è stata la nostra guida, ha presieduto la segregazione a funzione direttiva. Ci siamo chiusi in casa e non abbiamo protestato, diventando addirittura delatori in cerca di chi non ubbidiva assai.

E l’Italia canta Bella ciao. Si presenta sui balconi e alle finestre, sventola il Tricolore e canta Bella ciao. Tutto il mondo ormai canta Bella ciao, è diventato un inno pop, variato secondo i criteri del momento. Nei venti mesi della guerra partigiana, sembra non si sia mai sentito cantare Bella ciao, dicono sia stata scritta dopo. Ciononostante è considerata il simbolo della Resistenza italiana e le sue poche parole sono affidate alla libertà, alla lotta contro le dittature.
Ma è diventato un coro confuso, per il quale gli italiani si sono riuniti, tirando fuori un patriottismo lacero, che non corrisponde in nessun modo ad un giustificato orgoglio delle proprie capacità: volumi e levature che si esprimono in maniera pudica attraverso i molti che fanno il proprio dovere e agiscono con rigore assoluto a favore della collettività. 
Dentro casa sono successi incontri e solitudini. Sopportazione e scoperte. La miseria e la violenza. Il sorriso e la commozione. Si è fatto all’amore, sono nati figli e ci sono stati i suicidi e gli omicidi. Il tarassaco. Taraxakos in greco significa io guarisco, sono il rimedio agli squilibri. Cresce praticamente ovunque. Da voi Christoph, ora sarà in pieno fiore. 

Roberta

Lieber Christoph, deine Frage

Jeder von uns wird sich fragen müssen, ob es überhaupt etwas zu verteidigen gilt außer der eigenen Würde.
Darauf antworte ich dir mit einem entschiedenen Ja. Es gilt, die Würde des anderen, des nächsten zu verteidigen, damit die eigene Würde ihres moralischen Anspruchs würdig sei! Das ist Verfassungsgrundlage jeder demokratischen Gesellschaft.   

Dem Virus ist das egal. Das einzig Offensichtliche, das es in dieser Geschichte gibt, ist, dass der Virus, wie wir ihn auch nennen wollen, keine Rücksicht kennt, für keinerlei Anerkennung, für keinerlei Grenze. Er greift uns alle gleichermaßen an, unterschiedslos welcher Kultur, Religion oder Politik wir angehören.
Den Vorzug aber gibt er den Alten. Ein Teil von ihnen ist gestorben, die Ärzte sagen, manchmal im Hauch eines Augenblicks. Man hat sie weggebracht in tausenden von Särgen. Wie wenn man zur vollen Reife den Löwenzahn anpustet und die Samen zigfach in der Luft zerstieben.
Dieses Mal sind die zerstobenen Samen die Generation, die weiß, was ein Krieg ist. Die mit der Kriegsrhetorik, wie sie in den vergangenen Wochen zum Vorschein gekommen ist, nicht einverstanden ist. Nicht genug, hier in Italien ist von Krieg die Rede, von Ärzten an der Front, im Schützengraben. Es taucht auch wieder der Begriff Sündenbock auf. Doch dieser Feind hat kein Gesicht. Hätte er eins, wäre es das Lächeln meiner Töchter, das meiner Mutter.
Von Kampf sprechen ist angebracht. Die Ärzte mittendrin in einer Vielzahl von Notaufnahmen, behandeln sie dramatische Atemnöte, dirigieren das Gefühlsbarometer, während der Widersacher ihren eigenen Körper bewohnen könnte, wie auch meinen, während ich schreibe.
Nicht Krieg. Vielmehr die Gegensicht. In diesem Augenblick des trauernden Fortschritts gewähren wir uns eine Ordnung des Innehaltens. Es ruft die Fische und Vögel zurück, säubert die Flüsse und macht uns betroffen, aus Angst vor Verzweiflung und Verlust. In der geologischen Zeitrechnung sind wir wenige Minuten, in der Nacherzählung unserer Zeit aber wird dieser Hauch eines Augenblicks zählen.

Gleichwohl. Was mich im Augenblick beeindruckt, ist der Wille zum Gehorsam. Wie dieser als eine Pflicht respektvoller Unterwerfung ausgeübt wird, verursacht mir Unbehagen. Eine ungute Vorahnung. Wir gehorchten aus Angst, noch bevor die Maßnahmen und Regelungen in Kraft traten. Von einem Tag auf den anderen führte uns die Angst an, war Angst die ausübende Vorsitzende der Ausgangssperre. Wir sperrten uns zu Hause ein und protestierten nicht, wurden sogar zu Spitzeln und suchten nach denen, die zu wenig gehorchten.    

Indessen singt Italien Bella ciao. Zeigt sich auf den Balkonen und an den Fenstern, schwenkt die Trikolore und singt Bella ciao. Die ganze Welt singt mittlerweile Bella ciao, es ist eine Allerweltshymne geworden, anwendbar auf jeden erdenklichen Umstand. Es heißt, dass man das Lied in den zwanzig Monaten des Partisanenkampfes nie singen gehört hat, es soll erst nachher geschrieben worden sein. Nichtsdestotrotz wird es als das Symbol des italienischen Widerstands angesehen, seine wenigen Worte gelten der Freiheit und dem Kampf gegen Diktaturen.
Dieser Chor aber, in den die Italiener einstimmten, ist konfus und huldigt einem rissigen Patriotismus, der in keinerlei Hinsicht einem berechtigten Stolz auf die eigenen Fähigkeiten entspricht: Größe und Wirksamkeit zeigen sich unaufdringlich im Einsatz der vielen, die ihre Pflicht tun und ihr Handeln unbeirrt in den Dienst der Gemeinschaft stellen. 
Zuhause ereigneten sich Begegnungen und Einsamkeiten. Wird erduldet und aufgedeckt. Gibt es Armut und Gewalt. Lachen und Mitgefühl. Man hat sich geliebt, Kinder wurden geboren, es geschahen Selbstmorde und Morde. Der Löwenzahn. Griechisch taraxakos bedeutet ich heile, bin Heilmittel gegen Unausgeglichenheit. Er wächst im Grunde überall. Bei euch, Christoph, wird er gerade voll in Blüte stehen.

Roberta

Übersetzt von Alma Vallazza

17. April 2020

Liebe Roberta.

Wer bei uns zurzeit auf die in diesem Ausmaß noch nie dagewesene Frequentierung der Fahrrad- und Flanierwege schaut, der könnte meinen, wir lebten nicht in einer Krise, sondern es sei zu einer tiefgreifenden ökosozialen Steuerreform gekommen. Der Unterschied zwischen Ausgangssperre und –beschränkung ist folglich ein gewichtiger. Die Einschnitte sind zwar drastisch, allerdings nicht vergleichbar mit jenen, die bei euch vorgenommen wurden. Dass die Maßnahmen zum Großteil mitgetragen werden von einer nicht kleinzuredenden Solidarität in Form von Nachbarschaftshilfen oder der Unterstützung regionaler Händler, steht dabei außer Frage. Aber in gewisser Hinsicht handelt es sich eben doch um eine verordnete Solidarität, die – endet der eigene Gesichtskreis am vielzitierten Tellerrand – nicht unter dem Eindruck von solchen Schreckensbildern steht, wie wir sie aus anderen Ländern kennen. Es könnte also eine Solidarität auf Zeit sein. Außerdem haben wir erlebt, wie schnell auch eine verordnete Ent-Solidarisierung greift, als Beispiel sei hier die mantragleiche, mit dem Brustton der Verleugnung vorgetragene Erzählung von der Schließung der Balkanroute genannt, deren Notwendigkeit nur sehr bedingt infrage gestellt wurde. Die Folgen sind bekannt. 

Dieses Wir, es könnte – auch buchstäblich – seine Grenzen haben. Was wenn, und das scheint mir nicht denkunmöglich, aus einem „Wir zuerst“ ein „Jetzt erst recht wir zuerst“ wird? Denn beteiligen sich nicht alle, wirklich alle, gemäß ihren Möglichkeiten an der Bewältigung der gegenwärtigen Situation und deren Folgen, dann wird es zu einer dramatischen Verantwortungsverschiebung nach unten auf die Schultern der Schwächsten kommen und damit möglicherweise zu einer Lebensrealität, welche die Bilder aus dem Mittelmeer, aus Moria und Idlib noch leichter vergessen macht. Die Ankündigung bestimmter milliardenschwerer Großunternehmen beispielsweise (die zwar bei einer solchen geblieben ist, aber eben doch ein scharf konturiertes Unsittenbild entwirft), aufgrund vorübergehender Filialschließungen keine Miete mehr bezahlen zu wollen, spricht dabei eine Sprache, deren Vokabular nicht jenes eines allumfassenden Schulterschlusses ist.

Fraglos wird es aber auch, wie du bereits erwähnt hast, einer Entledigung dieses unsäglichen Feigenblattes namens „Werte“ bedürfen, deren im Zuge der ersten großen Flüchtlingsbewegung vor ein paar Jahren so zäh und großmaulig beschworene Verteidigung bis zu einem bestimmten Grad auch in der Verwechslung von moralischen mit materiellen Werten gründete. Jeder von uns wird sich fragen müssen, ob es überhaupt etwas zu verteidigen gilt, außer der eigenen Würde. 

Nur das Beste,

Christoph

Cara Roberta.

Osservando in questi giorni qui da noi l’affollamento delle piste ciclabili e delle passeggiate, che ha raggiunto dimensioni mai registrate prima, si potrebbe pensare che non stiamo vivendo una crisi, ma che invece si sia verificata una profonda riforma fiscale eco-sociale. C’è dunque una differenza significativa tra blocco e limitazione degli spostamenti. Le restrizioni, anche se drastiche, non sono comunque paragonabili a quelle messe in atto lì da voi. Che le misure vengano in gran parte condivise da una solidarietà irriducibile, in forma di aiuti tra vicini o di sostegno del commercio regionale, è fuori discussione. In un certo senso però si tratta di una solidarietà decretata che – se non guardiamo oltre il proprio orticello – non è suggestionata da quelle terribili immagini che conosciamo da altri paesi. Potrebbe dunque essere una solidarietà a tempo determinato. In più abbiamo visto con quale velocità anche un de-solidarizzare decretato mostra i suoi effetti, come per esempio la narrazione, svolta come un mantra e con estremo rinnegamento, della chiusura della rotta balcanica, la cui necessità venne messa in dubbio solo in modo molto limitato. Le conseguenze sono note.

Questo Noi, ecco che potrebbe avere – anche letteralmente – i suoi limiti. E se, e questo non mi sembra impensabile, il “noi prima” diventasse un “ora più che mai noi prima”? Perché se non tutti, proprio tutti, contribuiscono secondo le proprie possibilità a superare la situazione attuale e le sue conseguenze, allora avremo un drammatico trasferimento delle responsabilità verso il basso sulle spalle dei più deboli e con ciò probabilmente una realtà della vita che farà dimenticare ancora più facilmente le immagini provenienti dal Mediterraneo, da Moria e da Idlib. L’annuncio di certe grandi imprese plurimiliardarie, per esempio (anche se rimasto tale, delinea pur sempre un quadro del malcostume dai contorni affilati), di non voler più pagare l’affitto in seguito a temporanee chiusure di filiali, si avvale di un linguaggio il cui vocabolario non è quello di una solidarietà universale.

Indubbiamente sarà però anche necessario, come scrivi, liberarsi di quella infame foglia di fico che si chiama “valori”, la cui difesa, invocata così tenacemente e a gran voce a seguito del primo grande flusso di profughi qualche anno fa, si fondava fino a un certo punto anche sulla confusione fra valori etici e valori materiali. Ognuno di noi dovrà chiedersi se davvero c’è ancora altro da difendere tranne la propria dignità.

Tutto il meglio,

Christoph

Übersetzt von Werner Menapace

13. April 2020

Caro Christoph.

L’essere umano ha molte qualità e conserva dentro di sé anche una predisposizione a dimenticare in fretta, ciononostante credo che la gerarchia dei valori presenterà dei rovesciamenti. Il pronome noi ad esempio, dovrà far fronte a cosa significa dire tu e io, insieme e in uguale misura. Non avremo più giustificazioni e discolpe da poter esibire per dire: prima noi. Quello che abbiamo fatto negli ultimi anni, respingendo una delle più gravi emergenze umanitarie e politiche dall’inizio del ventunesimo secolo. Le guerre e la repressione, la miseria o il semplice desiderio di una vita migliore, tutte realtà che non sono scomparse nel frattempo. Ecco, esse spingeranno ancora più migranti a mettere a rischio la propria vita in viaggi pericolosi e difficili. Per dove? Per approdare ancora al nostro rifiuto e alla nostra indifferenza? La solidarietà, quella che fino a ieri abbiamo dato solo in parte, ponendo continuamente il punto di domanda ad ogni richiesta di aiuto, oggi in questo tempo di epidemia la stiamo conoscendo nel suo pieno significato, per necessità urgente e condivisione del proponimento e della responsabilità. 
Ritornerà nel futuro prossimo una nuova richiesta di solidarietà. Da chi non sarà europeo, da chi non sarà bianco e avrà altri usi e costumi. Nella risposta che daremo loro, non potremo fingere di non avere avuto conoscenza diretta attraverso l’uso e la pratica, di questa qualità. Perché ora, il rapporto di reciproco sostegno nella coscienza dei comuni interessi sta succedendo ed è inverosimile quanto sia stata veloce l’assimilazione del dovere e del volere. L’Italia congiunta alla dolcezza della sua vita e all’evasione delle regole, è diventata in pochi giorni una comunità disciplinata e pronta al sacrificio per il bene collettivo. 
Io credo che questa emergenza che mai, mai avremmo pensato possibile, ci stia proponendo una virtù del pronome noi. Ci sta dimostrando che esiste la capacità di superare l’ossessione identitaria dei cosiddetti “valori”. Quella che alza lo scudo di protezione e crea la barriera, prima di tutto mentale, nei confronti degli altri e che impedisce qualsiasi possibilità di mutamento e di trasformazione.
È una capacità della quale ci stiamo accorgendo nell’insieme del pericolo che questa volta ha bussato alla nostra porta. Fuori dal pericolo, si complicherà di nuovo in un ammasso di individualità e si perderà nel dimenticatoio che tenderemo ad alimentare col sentimento della gioia ritrovata. Ma rimarrà la coscienza, quella che tireremo fuori nel racconto e nelle emozioni vissute insieme e a lato delle volontà future sentiremo il riverbero della consapevolezza, di noi singoli individui e del mondo esterno con cui saremo in rapporto.
Hai ragione a dire che la primula è un bel vedere. Himmelschlüssel, chiave del cielo, il suo nome in tedesco non equivale a quello italiano che nomina questo fiore come primo, primula appunto. Vedi, in ladino, nella mia lingua madre lo chiamiamo addirittura tle de San Pire, la chiave di San Pietro, riconoscendogli la prerogativa di apertura al paradiso. 
Non c’è il paradiso. E San Pietro non ha le chiavi per entrarci. Nell’immaginazione collettiva è però un bel vedere anche questo gesto dell’aprire il portone. Agli altri, ma anche a noi qui e ora, che ormai siamo alla quinta settimana di segregazione in casa. 

Ho scritto questa lettera pochi giorni fa, oggi prima di spedirti la mia risposta Christoph, leggo di un naufragio nel Mediterraneo. Nelle scorse ore uno dei quattro barconi pieni di migranti, dei quali si sapeva da giorni, si è rovesciato causando la morte di decine di persone. Li abbiamo lasciati morire nel giorno di Pasqua. 
Voglio aggiungere alla mia riflessione questa triste notizia, e farti sapere anche che in questo momento ti sto scrivendo a vuoto. Tendo ad avere sempre un sentimento di aspettazione fiduciosa, concludo questa lettera invece, con un senso profondo di fallimento. 

Lieber Christoph,

unter seinen vielen guten Eigenschaften besitzt der Mensch auch die angeborene Fähigkeit, schnell zu vergessen. Trotzdem glaube ich, dass die Wertehierarchie tiefgreifende Veränderungen erfahren wird. Nehmen wir das Pronomen wir zum Beispiel. Es wird sich die Frage gefallen lassen müssen, was ich und dugemeinsam und in gleichem Maß bedeutet. Für ein wir zuerst werden wir keine Rechtfertigungen und Entschuldigungen mehr vorschützen können. So wie wir es in den letzten Jahren gemacht haben und damit eine der größten menschlichen und politischen Katastrophen seit Beginn des 21. Jahrhunderts verdrängt haben. Krieg und Unterdrückung, Elend oder einfach der Wunsch nach einem besseren Leben sind Realitäten, die in der Zwischenzeit nicht verschwunden sind. Es werden noch mehr Migranten gezwungen sein, ihr Leben auf gefährlichen und beschwerlichen Reisen zu riskieren. Wohin? Um wieder an unserer Zurückweisung, an unserer Gleichgültigkeit aufzulaufen? Für Solidarität waren wir bis gestern nur halbherzig bereit und begegneten jedem Hilferuf mit einem neuen Fragezeichen, heute, in dieser Zeit der Epidemie, erfahren wir sie im gesamten Ausmaß ihrer Bedeutung, weil sie dringend notwendig ist und wir also bereit sind, die Verordnung und die Verantwortung zu teilen.
In der unmittelbaren Zukunft wird erneut an unsere Solidarität appelliert werden. Von Seiten derjenigen, die weder Europäer noch weiß sind und andere Sitten und Gebräuche haben. Darauf antwortend werden wir nicht mehr so tun können, als hätten wir dieses besondere Gut nicht am eigenen Leib erfahren. Die gegenseitige Unterstützung im Bewusstsein des Allgemeinwohls findet nämlich jetzt gerade statt und es ist fast nicht zu glauben, wie schnell Pflicht und Vermögen assimiliert wurden. Italien geeint in seinem dolce vita und in der Übertretung der Regeln ist in wenigen Tagen zu einer disziplinierten, sich für das Gemeinwohl aufopfernden Gemeinschaft geworden.
Ich glaube, dass diese Notsituation, die wir nie, niemals für möglich gehalten hätten, uns gerade erkennen lässt, welche besonderen Qualitäten das Pronomen wir enthält. Und zwar, dass wir die Fähigkeit besitzen, die obsessive Nabelschau der sogenannten „Werte“ zu überwinden – eine Geisteshaltung, die einem Gegenüber sofort das Schutzschild zeigt, sich abschottet und damit jede Chance auf Veränderung und Wandel verhindert.
Bewusst wurde uns diese Fähigkeit in der gemeinsamen Gefahr, die dieses Mal an unsere Tür geklopft hat. Außer Gefahr wird sie sich wieder in einem Gemenge aus Individualitäten verfangen und sich im Nebulösen verlieren, das zunehmen wird je größer das Gefühl der wiedererlangten Freude sein wird. Bleiben aber wird das Gewissen und in unseren Erzählungen des gemeinsam Erlebten zum Ausdruck kommen. Entlang zukünftiger Entscheidungen werden wir den Widerhall dieses Bewusstsein hören, von uns als einzelne Individuen und in Beziehung zur äußeren Welt. 
Du hast Recht, wenn du sagst, dass das Himmelschlüssel schön anzuschauen ist. Der deutsche Name entspricht nicht dem italienischen, der die Blume als primula, als die Erste nämlich bezeichnet. Schau an, im Ladinischen, meiner Muttersprache, nennen wir sie sogar tle de San Pire, Petrusschlüssel und räumen ihr mithin das Vorrecht ein, das Paradies zu öffnen. Das Paradies gibt es nicht. Und der Heilige Petrus besitzt auch nicht die Schlüssel dazu. Gemeinsam betrachtet aber ist auch diese Geste des Toröffnens schön anzuschauen, für die anderen, aber auch für uns, die wir uns mittlerweile in der fünften Woche des Hausarrests befinden.

Ich schrieb dir diesen Brief vor ein paar Tagen, Christoph. Als ich ihn heute abschicken wollte, lese ich von einem Schiffsunglück im Mittelmeer. Vor wenigen Stunden ist eines der vier überfüllten Flüchtlingsboote, von denen man seit Tagen wusste, gekentert. Dutzende Menschen sind dabei ums Leben gekommen. Wir haben sie sterben lassen, am Tag des Osterfestes.Ich möchte diese traurige Nachricht meinen Überlegungen hinzufügen und dich auch wissen lassen, dass ich in diesem Moment ohne Aussicht schreibe. Ich neige gewöhnlich zur Zuversicht, diesen Brief jedoch beende ich in einem Gefühl tiefen Scheiterns. 

Übersetzt von Alma Vallazza

7. April 2020

Liebe Roberta.

Nicht nur die Schachtelhalme wachsen, auch die Himmelschlüssel stehen in Blüte. Was für ein Wort. Die Himmelschlüssel als Türöffner, wenn man so will, nach und nach zerfasern die Wolkenbruchlinien, zeitgeraffte vereinzelte Spaltenbildungen wie auf einer Gletscherzunge, bis die Decke endlich bricht und sich ein weites dunstiges Blau zeigt als ein von abgesonderten Cirrusgruppen durchweidetes Hochplateau. Derselbe Himmel wie vor jahrundjahr und doch ein anderer. Eine Fremdheit. Etwas ist im Begriff, sich zu verändern, wenn ich mir auch nicht sicher bin, ob die Auswirkungen, von denen du sprichst, für uns alle die gleichen sind. Zudem kann ich nicht sagen, ob wir die Notwendigkeit einer Auseinandersetzung mit unserer Wertehierarchie in jenem Später, von dem wir jetzt nicht mehr wissen, als dass es einmal sein wird, noch als solche erkennen werden. Wünschenswert wäre es, so recht daran glauben kann ich nicht. Für den Moment jedenfalls. Das ganze mich umgebende Land, das mir zurzeit auf so seltsame Weise ungeläufig ist, ist ein in Stein und Holz und Erde gebanntes Gedächtnis, das nicht vergisst. Der Mensch dagegen vergisst so schnell. Die Systemerhalter werden sich vermutlich wieder Gehör verschaffen, die Fortschrittsgutgläubigen, die Zyniker. Bereits jetzt sind bei uns Stimmen zu vernehmen, die den entstandenen wirtschaftlichen Schaden in Relation setzen zu den Menschenleben, die durch die ergriffenen Maßnahmen gerettet wurden. Eine Waage, die nicht nur einfach unmöglich austariert sein kann, sondern gar nicht existieren dürfte. 

Die Himmelschlüssel sind schön anzuschauen. Diese weithin sichtbaren Frühblüher. Nach einer kurzen, aber heftigen Kälterückkehr, mit teilweise tieferen Temperaturen als während des gesamten Winters, hat sich der Frühling durchgesetzt, er ist über uns hereingebrochen, mit einer ähnlichen Plötzlichkeit wie die gegenwärtige Krise. Und er ist gekommen, um vorerst zu bleiben – die schon jetzt große Trockenheit könnte für die Bauern zum Problem werden. Auch damit werden wir uns also beschäftigen müssen: Die Herausforderungen in jenem Später werden nicht weniger werden. Aber vielleicht zeigt uns die momentane Situation gerade, was mit dem nötigen politischen Willen alles möglich ist. Vielleicht. 

Cara Roberta.

Crescono non solo gli equiseti, sono in fioritura anche le primule, da noi chiamate “Himmelschlüssel“ = “chiavi del cielo”. Che parola. Le chiavi del cielo come apriporta, se vogliamo, a poco a poco le linee di frattura delle nubi si sfilacciano, sporadiche formazioni di crepe in sequenza accelerata come su una lingua di ghiacciaio, finché la volta del cielo finalmente si rompe e appare un ampio azzurro brumoso, come un altopiano pascolato da gruppi di cirrocumuli isolati. Lo stesso cielo come da anni e anni, eppure un altro. Un’estraneità. Qualcosa sta per cambiare, anche se non sono sicuro se questo tempo, come tu dici, sia uguale nelle sue misure e per ognuno di noi. Inoltre, non so dire se riconosceremo ancora come tale la necessità di un confronto con la nostra gerarchia dei valori in quel dopo di cui adesso non sappiamo altro che un giorno sarà. Sarebbe auspicabile, ma non ci credo veramente. Almeno per ora. Tutto il territorio che mi circonda, che attualmente mi è estraneo in modo così strano, è una memoria che non dimentica, perpetuata in pietra e legno e terra. L’essere umano invece dimentica così velocemente. I conservatori del sistema probabilmente si faranno di nuovo sentire, gli ingenuamente credenti nel progresso, i cinici. Qui da noi già si sentono voci che mettono in relazione i danni economici causati dall’epidemia e le vite umane salvate in seguito alle misure prese. Una bilancia non solo completamente fuori taratura, ma che non dovrebbe neanche esistere.

Le primule sono un bel vedere. Queste piante a fioritura precoce, visibili da lontano. Dopo un breve, ma brusco ritorno del freddo, con temperature in parte più basse di quelle registrate durante tutto l’inverno, si è imposta la primavera, ci ha travolto, con una repentinità simile alla crisi attuale. Ed è venuta per restare, per il momento – la siccità, grande già ora, potrebbe diventare un problema per i contadini. Anche di questo dovremo dunque occuparci: le sfide in quel dopo non diminuiranno. Ma forse la situazione momentanea sta proprio a mostrarci quanto, con la dovuta volontà politica, sia possibile. Forse.

Übersetzt von Werner Menapace

2. April 2020

Caro Christoph,

è un’incontro al quanto singolare il nostro. 

Nella sua qualità possiamo farlo diventare un avvicinamento nel tempo, una congiuntura di lingue. Mi sembra di poter aggiungere anche, che la sensazione è quella di una nostra responsabilità di interpretazione di questo momento così particolare. 
Ecco allora che le vie di comunicazione ritornano all’epistolario, le nostre osservazioni, le considerazioni che confluiscono l’una nell’altra nella profondità delle sensazioni. Nel nostro piccolo io credo, ci riusciremo.
Così tu mi racconti di primi paesaggi appena fuori dalla finestra. L’equiseto di cui tu mi parli, lo vedrò appena tra due mesi, nel bosco che frequento, seppure questo tempo ora, sia così uguale nelle sue misure e per ognuno di noi. Sta in una sospensione dell’esterno succedere. 
Cammino. Il bosco sembra ancora di più un luogo remoto, molta neve e pochi farfari intorno, sono solitudini primaverili quando l’inverno qui dà prova di andarsene. Se i farfari si presentano è tempo. Molto più tardi la primavera alpina presenterà un tripudio di colori e sarà un bel vedere. Guardo, osservo e lascio che il silenzio nuovo di ora si presenti nella sua drammatica totalità, al fine di poterlo raccontare nelle mie riflessioni, nel frattempo, dopo e forse. 
Sono sempre partita da un plurale di silenzio, ogni volta che l’ho preso in considerazione per un componimento. Ora si è unito, costituisce un insieme, è diventato omogeneo, solidale. Sta in concordanza con l’intero modo di pensare, di sentire o di agire. Non mi piace, lo subisco, è così uguale dappertutto che mi è diventato avverso, perché si presenta unicamente in qualità di una rispettosa osservanza. Un sibilo sordo che intima il tacere. 
Mi scrivi, l’Italia, un modello tragico, in tedesco “Italien als tragische Blaupause”. Concordo sulla tragicità del momento, non invece sul fatto che sia stata presa a modello. Poche settimane fa, intorno all’Italia impegnata a combattere il virus si sollevava una cortina di ferro, mentre ogni altro governo, lentamente, troppo lentamente rispondeva in modo diverso all’epidemia, senza prendere d’esempio questa povera terra che ha prima dovuto capire con cosa si sarebbe confrontata. 
Dopo invece, nel tempo successivo. Saremo posti, tutti quanti e senza alcun modello, di fronte ad una domanda esistenziale unica. Questa rigenerazione improvvisa dell’unità, l’isolamento collettivo che ha messo in moto un organismo unico, ci hanno portati ad un patriottismo di urgenza, facendo di me e di te un noi che ci metterà a confronto dentro, lì dentro nella gerarchia dei valori. 

A presto, roberta.

Lieber Christoph

wie wir uns hier begegnen, ist ziemlich einzigartig.

Wir haben die Gelegenheit, aus dieser Begegnung ein Näherkommen in der Zeit, eine Zusammenführung von Sprachen zu machen. Ich möchte auch noch hinzufügen, dass es sich wie eine Verantwortung anfühlt, unsere Verantwortung, diesen besonderen Augenblick zu interpretieren. 
Schön, dass sich die Kommunikationswege wieder des Briefeschreibens besinnen und unsere Beobachtungen, unsere Überlegungen auf diese Weise ineinander übergehen und in der Dichte der Wahrnehmungen zusammenfließen können. In unserem Kleinen denke ich, wird es uns gelingen.
Du erzählst von den ersten Landschaften, die vor deinem Fenster auftauchen. Den Schachtelhalm, den du erwähnst, werde ich in meinem gewohnten Waldstück erst in zwei Monaten sehen. Davon abgesehen scheint diese Zeit jetzt in ihren Auswirkungen für uns alle gleich.
Ich gehe. Noch mehr als sonst gleicht der Wald einem Ort aus alter Zeit, viel Schnee und kaum Huflattich rundum, solcherart ist hier die Einsamkeit im Frühling, sobald der Winter Zeichen gibt, sich zu verabschieden. Sehr viel später zeigt sich der Frühling in den hiesigen Bergen in einer Pracht aus Farben und ist schön anzusehen. Ich schaue, beobachte und warte, bis diese neue Stille ihr ganzes dramatisches Ausmaß zeigt, damit ich, währenddessen, nachher, wenn überhaupt, davon erzählen werde können mit eigenen Gedanken. 
Ich bin in meinem Schreiben immer von einer Mehrzahl von Stille ausgegangen. Nun hat sich diese Mehrheit vereinigt, bildet eine Einheit, ist gleichförmig, solidarisch geworden. Steht in Übereinstimmung mit dem Gesamt des Denkens, Fühlens oder Handelns. Es gefällt mir nicht, ich ertrage es, es ist überall dermaßen gleich, dass es mir zuwider ist. Es entspricht dem Zustand eines respektvollen Beobachtens im Stillstand. Einem stummen Geflüster, das zu Schweigen gebietet.
Du schreibst, „Italien als tragische Blaupause”. Mit der Tragik des Moments bin ich einverstanden, allerdings nicht mit der Tatsache, dass es zum Modell gestempelt wird. Noch vor wenigen Wochen hat man rund um Italien, das damit beschäftigt war, den Virus zu bekämpfen, die Grenzen hochgezogen. Und erst sehr langsam, zu langsam haben dann die anderen Staaten begonnen, jeder auf seine Art auf die Epidemie zu reagieren. Niemand hat dabei den Fall Italien bedacht, dieses arme Land, das als erstes verstehen musste, worauf es gerade zusteuerte. 
Später ja, in der Zeit danach. Werden wir wohl alle und ohne Modell mit der gleichen existentiellen Frage konfrontiert sein. Diese plötzliche Wiederherstellung von Einheit, die gemeinsame Isolation, die einen einheitlichen Organismus in Gang setzte, hat uns zu einem Notfallpatriotismus gebracht und aus mir und dir ein wir gemacht. Ein wir, das uns dazu veranlassen wird, uns im Inneren, im Inneren der Wertehierarchie auseinander zu setzen. 

Bis bald, Roberta

Übersetzt von Alma Vallazza

1. April 2020

Liebe Roberta.

Ein literarisches Blinddate also. Ohne jeden Hintergedanken. Obwohl. Sind Hintergedanken nicht notwendiger denn je? Geistige Winkelzüge, Notausgänge aus diesem Gedankenkorridor, in dessen Fluchtpunkt zur Stunde nur gelegentlich Lichtreflexe aufscheinen? Ich denke da auch an eine Art Restlichtverstärker. Schaue mit Katzenaugen in das Rieseln hinter der Scheibe, in das dichte, zartstoffliche Schneerieseln hinter dem Fensterglas, und kann: Ich kann ein Leuchten sehen. Fühle mich erinnert an das körnige Bildrauschen alter Fernsehapparate, das immer auch ein Bruchteil der kosmischen Hintergrundstrahlung in sich trägt. Spuren des allerersten Lichts. Und tatsächlich: Bereits am nächsten Tag klart es auf, bald schon ist der Himmel wolkenlos und weit, wenn auch unfassbar wie vielleicht noch nie. An den Büschen hinterm Haus hängt der letzte Morgenfrost als brüchiges Weiß. Vor dem Haus Tau auf dem Beikraut bis weit in den Tag hinein, gierig silbern schimmernd, schillernde Leuchtdioden, ein Sternenfall. Dazwischen ein ellenlanger Schachtelhalm, dessen in der Mittagssonne erzeugter Schattenwurf in jene Richtung weist, in welcher der Bahnhof liegt. Eine Station, an der bis auf Weiteres kein Zug mehr hält. Und wieder biegt das Denken ein in den nämlichen Korridor. Seit vergangener Woche, musst du wissen, sind Teile unserer Ortschaft abgeriegelt, wir sind – wie man so sagt – von der Außenwelt abgeschottet. Sperren, nicht nur an den Zubringerstraßen, sondern auch an Forstwegen, Radstrecken, Brücken. Beidseits des Sperrgitters an der Brücke über den Grenzfluss treffen sich gelegentlich Jugendliche, reden, reichen sich Gegenstände durch das Gitter, schweigen, rauchen, bis eine vorbeifahrende Streife die Gruppe zerschlägt und nichts bleibt als das Nachtönen der Schritte im Klangraum der gedeckten Holzbrücke und eine schwach glimmende Zigarettenkippe auf dem grauen Asphalt davor. Dort, wo sie nicht durch die Bahntrasse, die Straßenführung oder den Lauf des Flusses vorgegeben ist, lassen die Grenzziehungen an willkürliche Demarkationslinien denken, als befänden wir uns in einer Nachkriegszeit, in einer am berühmten Reißbrett geteilten Weltgegend. Aber wem erzähl ich das? – Italien als tragische Blaupause. Du wirst es vermutlich nicht wissen, aber italienische Verhältnisse sind bei uns das Reizwort schlechthin in diesen Tagen. Als könnte darunter etwas anderes verstanden werden als il dolce far niente! Es kann. Aber darüber wirst du besser zu berichten wissen.

Ein Gruß aus V und nur das Beste,

Christoph 

Cara Roberta.

Un appuntamento letterario al buio dunque. Senza alcun secondo fine. Eppure. I secondi fini non sono forse più necessari che mai? Stratagemmi mentali, uscite di emergenza da questo corridoio di pensieri nel cui punto di fuga al momento solo sporadicamente compaiono dei riflessi di luce? Ho in mente anche una sorta di amplificatore di luce residua. Con occhi di gatto guardo il piovigginare dietro la finestra, il fitto nevischiare di consistenza tenera dietro il vetro, e posso: posso vedere un lume. Mi sembra di sentire il rumore dell’immagine granulare dei vecchi televisori che contiene pur sempre una frazione della radiazione cosmica di fondo. Tracce della luce primordiale. E infatti: già il giorno dopo sta schiarendo, ben presto il cielo si presenta ampio e senza nubi, anche se incomprensibile come forse non mai. Attaccato ai cespugli dietro la casa il bianco friabile dell’ultima brina mattutina. Davanti alla casa rugiada sulle erbacce fino a giorno inoltrato, avidamente luccicante d’argento, cangianti diodi a emissione luminosa, una caduta di stelle. In mezzo un equiseto lunghissimo la cui proiezione d’ombra, creata dal sole di mezzogiorno, indica la direzione in cui si trova la stazione. Una stazione dove per il momento non si ferma più nessun treno. E di nuovo il pensiero imbocca lo stesso corridoio. Dalla settimana scorsa, devi sapere, parti del nostro paese sono isolate, siamo – come si dice – tagliati fuori dal mondo esterno. Blocchi, non solo sui raccordi, ma anche su strade forestali, piste ciclabili, ponti. Da entrambi i lati della grata di sbarramento sul ponte sopra il fiume di confine ogni tanto si incontrano dei giovani, parlano, si passano oggetti attraverso la grata, tacciono, fumano, finché una volante che passa non spezza il gruppo e non rimane altro che il risuonare dei passi nello spazio sonoro del ponte di legno coperto e un mozzicone di sigaretta che sta per spegnersi sull’asfalto grigio davanti. Laddove non sono prestabilite dal tracciato ferroviario, da quello stradale o dal corso del fiume, i tracciamenti del confine fanno pensare a linee di demarcazione arbitrarie, come se ci trovassimo in un periodo postbellico, in una regione del mondo divisa a tavolino. Ma a chi sto raccontando tutto questo? – L’Italia come modello tragico. Tu forse non lo sai, ma la situazione come in Italia in questi giorni qui da noi è sinonimo per eccellenza di brutta situazione. Come se potesse essere inteso diversamente da il dolce far niente! Può. Ma di questo tu saprai riferire meglio.

Un saluto da V e tutto il meglio,

Christoph 

Übersetzt von Werner Menapace

Cara Roberta. ist ein Kooperationsprojekt von Literaturhaus Liechtenstein, Literaturhaus & Bibliothek Wyborada, dem SAAV und literatur.ist.